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mercoledì 17 agosto 2016

Fontana delle najadi, storia e leggende


L'esedra di termini originale


L’inaugurazione di questa fontana, avvenuta a Roma il 10 settembre 1870, fu l’ultimo atto pubblico ufficiale di un “Papa Re”, dieci giorni prima che la breccia di Porta Pia decretasse la fine dello Stato Pontificio e Sua Santità Pio IX si ritirasse sdegnosamente nella cittadella Leonina del Vaticano; e già questo basterebbe per consegnare questa fontana alla Storia!
Ma per la “mostra” dell’Acqua Pia, Antica Marcia, che tutti oggi conosciamo come fontana delle Najadi, è solo l’inizio di una vita movimentata – di spostamenti, rifacimenti, polemiche, restauri – che arriva fin quasi ai nostri giorni. E’ stata anche l’ultima mostra d’acquedotto romano – la fontana monumentale che celebra l’arrivo dell’acquedotto in città

1880 c.a la fontana di fronte villa montaldo peretti, l'esquilino come era allora, un quartiere residenziale e signorile, il frontespizio di chi a roma arrivava come un pò tutti, col treno, e questo appariva appena usciti dalla stazione.

Nella Roma italiana, se si eccettua il rifacimento appunto della “nostra” fontana, l’unica nuova mostra è quella del Peschiera in Piazzale degli Eroi: una fontana del 1950 dall’architettura piuttosto scarna, il cui unico pregio è costituito dai giochi d’acqua. Molto simile a quest’ultima, ma ancora più semplice – una vasca a livello del terreno contornata da una scogliera rustica, con una corona di alti zampilli dall’esterno all’interno e con un grosso getto d’acqua centrale – era la primitiva Mostra dell’Acqua Marcia, come si vede dalla foto che la ritrae forse il giorno stesso dell’inaugurazione . Si trovava poco distante dalla posizione attuale, più spostata verso la piazza dei Cinquecento, nel giardinetto tra viale Einaudi e via delle Terme di Diocleziano, pressappoco dove è ora il monumento agli Eroi di Dogali.
La seconda immagine  la ritrae qualche anno dopo da un’altra angolazione e già con qualche difetto di funzionamento; intorno al 1885 è ridotta ad una vasca dall’aria dimessa con un modesto zampillo centrale, come testimonia la prima foto .

Dal disfacimento alla resurrezione: il nuovo piano Regolatore, varato in quegli anni, prevede la creazione di piazza dell’Esedra in testa a via Nazionale, l’odierna piazza della Repubblica, e si decide di ricostruire al centro di questa piazza la mostra dell’Acqua Marcia.
Nel 1888 la nuova fontana, su progetto dell’Ing. Alessandro Guerrieri, era già funzionante: l’architettura era quella attuale che ripete al centro, su un livello rialzato, il motivo acquatico della vecchia mostra (corona di zampilli e getto centrale) ma con una vasca circolare esterna molto più grande, la quale racchiude ancora quattro semivasche poste a crociera intorno al blocco centrale e adornate di quattro leoni che gettano acqua dalla bocca, similmente ai quattro leoni del Valadier in piazza del Popolo.
Il motivo ornamentale dei leoni parve poca cosa in confronto alla mole del manufatto, ma i quattro felini furono approntati in tutta fretta, modellati “provvisoriamente” in stucco verniciato per la visita a Roma dell’Imperatore di Prussia Guglielmo II. Quel provvisorio durò tredici anni! La quarta foto (fig. 4) è testimone di questa sistemazione, già con la cancellata che sarà sacrificata un cinquantennio dopo, insieme con quasi tutte le cancellate pubbliche, per il “ferro alla patria”.



Nel frattempo il già famoso scultore siciliano Mario Rutelli si aggiudica nel 1897 la gara per la nuova ornamentazione della fontana: quattro Najadi, le ninfe dell’Oceano, dei Fiumi, dei Laghi e delle Acque sotterranee, ognuna sopra un animale simboleggiante il proprio ambiente, avrebbero sostituito gli anonimi leoni. E qui comincia il bello. Rutelli modella e realizza le fusioni dei quattro gruppi in bronzo a Palermo ma quando, a gennaio del 1901, li trasporta a Roma e inizia a montarli sui basamenti della fontana, nascosta agli occhi indiscreti da una palizzata di legno, qualcuno vede e si stupisce di fronte a tanto procaci nudità femminili e riferisce lo “scandalo” in consiglio comunale.
Cominciano le solite dispute tra conservatori e progressisti, tra cattolici e liberali; qualcuno afferma addirittura di essersi pentito di aver approvato a suo tempo il progetto delle najadi, vuole di nuovo i leoni e relegare le quattro femmine, lascivamente adagiate su divani in forma di animali o mostri, attentatrici alla morale della famiglia, in un angolo riposto di Villa Borghese (sic!). Fortuna vuole che a decidere sia il popolo. La sera del 10 febbraio 1901, un giovedì grasso, una folla di curiosi, stufi delle polemiche e della palizzata ormai inutile, comincia a divellere qualche asse: in poco tempo lo steccato è completamente abbattuto e viene così informalmente inaugurata la nuova “Fontana delle Najadi”.




Vinse comunque la bellezza dell’opera d’arte e le najadi rimasero al loro posto; anzi dopo qualche anno gli stessi detrattori riconoscevano la validità di quelle statue che avevano decorato degnamente una fontana la quale costituiva un magnifico biglietto da visita per la città, anche in ragione del fatto che è stata la prima fontana di Roma ad essere dotata di illuminazione elettrica interna, addirittura prima ancora della fine dell’800.




la cartolina centenaria che ci mostra la fontana ai primi del ‘900 con le ninfe, la cancellata e al centro un semplice zampillo. Ma nel 1911 c’è l’Esposizione Universale per il cinquantenario dell’Unità d’Italia e Rutelli, ormai riabilitato ed elogiato, riceve l’incarico di modellare una scultura per adornare il centro della fontana. Non sappiamo se inibito dal ricordo dello scandalo o per vendicativa ripicca, lo scultore realizza un gruppo “casto” ma infelice ed anche poco comprensibile: un groviglio di tre figure umane (forse tritoni), conchiglie, polipi, stelle marine. Lo vediamo nelle due foto  che lo ritraggono al centro della fontana: in quel breve periodo qualcuno aveva aggiunto alcune piante per guarnire ulteriormente l’architettura.





Il popolo romano, che stupido non era e aveva saputo apprezzare subito la bellezza delle najadi, non gradì questa caduta di stile e dette subito al gruppo il soprannome di “fritto misto”. Fu necessario rimuoverlo – per la cronaca, fu relegato nei giardini di piazza Vittorio, a dare acqua, con un modesto zampillo, al laghetto che si trovava lì fino all’inizio dei lavori per la Metro A – e al Rutelli fu commissionato qualcosa di “più serio”.
Nel 1914 la fontana fu completata definitivamente col nuovo gruppo del Glauco che lotta con un enorme pesce. Simbolo dell’uomo che riesce a domare le forze della natura, ha detto qualcuno: sicuramente, ma non è da escludere anche stavolta un pizzico di malizia vendicativa da parte dello scultore, sempre per le polemiche di dieci anni prima. Una leggera malizia che fu colta non dai critici d’arte ma dal Sor Capanna, il cantastorie popolare (vox populi…), in un suo stornello vagamente osé.
E’ invece curioso notare che quelli coloro i quali una decina di anni prima avevano definito la fontana “un orrore e una colpa” e chiedevano di “togliere quella sconcezza” ebbero invece a dire: “Questo gruppo è perfettamente intonato con le statue intorno delle najadi ed è completamente degno di quell’opera” – così almeno riporta Cesare d’Onofrio nel libro già citato.

L’opera era completa e poteva far bella mostra di sé agli occhi del viaggiatore che giungeva nella capitale non appena usciva dalla stazione ferroviaria: allora il treno era il mezzo principale con cui arrivavano in città anche i personaggi importanti ed inoltre la vecchia stazione Termini aveva la facciata molto più avanzata rispetto all’attuale, così la fontana delle Najadi era veramente il biglietto da visita della città. Lo si può vedere dalle foto che ritraggono la fontana prima degli anni ’40 e poi negli anni ’50, con la vecchia e la nuova stazione sullo sfondo 




Ma le vicissitudini non erano del tutto finite. Poco più di 50 anni dopo, nel 1970 – guarda caso proprio nel centenario della primitiva mostra dell’Acqua Marcia – la fontana viene disattivata per l’apertura del cantiere della metropolitana, linea A. Per più di dieci lunghi anni la fontana rimane secca, muta, ai margini di una piazza sventrata dai lavori interminabili della metro, che proprio lì sotto passa ed ha una stazione molto in profondità.
All’inizio degli anni ’80 la metro A entra in funzione, la fontana deve invece aspettare ancora qualche anno per riprendere vita. Dopo un primo restauro, alla prova dell’acqua il grande bacino esterno sembra leggermente inclinato; inoltre la trasformazione dell’alimentazione, con acqua completamente a circuito chiuso e forse trattata con decalcificanti per evitare le incrostazioni, provoca problemi di alghe sulle statue forse più antiestetici degli stessi depositi calcarei.
Si rendono necessari nuovi restauri. Negli anni novanta riprende a funzionare però i getti che scavalcano le najadi sono diventati sottili spruzzi ed anche lo zampillo centrale non è più lo stesso.
Il colpo di grazia arriva ad opera di un automobilista distratto che nel settembre del 2003 sbanda con la sua auto e si schianta contro il bordo della fontana (anche l’ingiuria del traffico!). L’urto sposta quattro blocchi di granito aprendo una vistosa falla sul fondo della fontana, restaurata appena due anni addietro, dalla quale fuoriesce acqua copiosa. Il monumento verrà nuovamente svuotato dell’acqua e chiuso per i lavori di restauro. Tornata in funzione dopo poco tempo, tutt’ora è lì con la corona di zampilli centrali un po’ irregolari e sconnessi, con i sottili spruzzi che scavalcano le sempre belle e indolenti najadi e con il getto centrale tornato bifido ed ancora più basso di prima degli anni ’30, quando le nuove pompe elettriche avevano consentito di aumentarne la portata e l’altezza.
Del resto il Glauco sta lì da 90 anni… “so’ i problemi dell’età…”: siamo sicuri che, se fosse ancora vivo, direbbe così quello spiritaccio del Sor Capanna.

giovedì 7 agosto 2014

Piazza Trilussa, tra storia e curiosità

Una rara cartolina commemorativa del posizionamento della fontana nel luogo attuale, ci restituisce un allestimento durato in realtà pochi mesi, al quale fece seguito l'attuale con scalinata e mura senza praticello, dovuta alla nuova conformazione della piazza a seguito dell'edificazione del palazzo dove oggi c'è caffè friend

Nelle sue stratificazioni storiche ed urbanistiche, Roma ha visto cambiamenti nei secoli, ma quelli perpetrati dai Savoia, re della novella Italia, per rendere la capitale sicura da alluvioni ( nello stesso anno dell'insediamento ,  si registrò piena record) decisero per il progetto carnevari che pervedeva pesanti demolizioni su entrambe le rive del fiume. Unico regalo di tali brutali demolizioni, che non risparmiarono chiese e reperti diell'impero, fu l'acquisizione per Trastevere, di una fontana in precedenza addossata sulla sponda opposta, al palazzo cosiddetto dei centopreti a piazza Pallotti.

la fontana ed il palazzo dei centopreti e ponte sisto addossati

 Sulla sponda destra del Tevere, proprio di fronte a Ponte Sisto, si apre piazza Trilussa (in passato denominata "piazza di Ponte sisto") con la bellissima fontana commissionata da Paolo V Borghese agli architetti Van Santen (detto "il Vasanzio") e Giovanni Fontana:


la fontana a piazza Pallotti durante le demolizioni ritratta dal Franz
acquarelli ed incisioni ci restituiscono l'aspetto originario della fontana

pochi sanno che negli anni in cui la fontana smontata dal palazzo fu tenuta nei magazzini del comune fino al succesivo rimontaggio, vennero smarrite molte parti originali e fu necessario ricostruirle da questi ed altri disegni dell'epoca

E' la seconda mostra dell'Acqua Paola (dopo la Fontana Paola), ossia dell'antico Acquedotto traiano, a seguito del prolungamento della sua canalizzazione per alimentare, oltre ai rioni di Trastevere  e Borgo, anche quelli di Regola e Ponte. Originariamente la fontana

la fontana durante il riposizionamento nel luogo attuale

la fontana durante la seconda guerra mondiale

..Era situata dalla parte opposta del fiume, sullo sfondo di Via Giulia, addossata all'edificio denominato dei Centopreti, risalente al 1879, ci mostra la fontana nel suo luogo originario, affiancata dai due portali, entrambi demoliti, realizzati da Domenico Fontana nel 1587 ed appartenenti all'Ospizio dei mendicanti o centopreti
Paolo Stoppa e Silvana Pampanini e sullo sfondo trastevere e la fontana, nel film "la bella di roma"

La fontana, trasferita in questa piazza nel 1898, in seguito alla costruzione dei muraglioni del Tevere, è costruita con un muro di blocchi di travertino; il bell'arco è racchiuso tra colonne e piloni a bugnato liscio e risale al 1613. I basamenti delle due colonne sono decorati con draghi, simbolo araldico della famiglia Borghese.
l'aspetto di piazza ponte sisto appena varcato il ponte omonimo era ben diversa da quella che conosciamo


si demoliscono le case su vicolo del quartiere e vicolo della farnesina

piazza di ponte sisto ritratta dalla fine di via benedetta, con i vecchi edifici che verranno demoliti ed il primo nuovo in costruzione in alto al centro dove sorgeranno piazza e via politeama, al posto del teatro precedentemente abbattuto

questa immagine scattata dall'attuale via politeama ci restituisce il fascino di una piazza perduta: a sinistra via benedetta prima delle demolizioni, al centro vicolo di ponte sisto e gli altri edifici che verranno abbattuti, compresi quelli a destra della foto, al posto dei primi sorge oggi la fontana, su quelli a destra piu tardi verà edificato l'edificio dell'pattuale caffè friends, in alto a destra si scorge l'altana del borromini su palazzo  falconieri

questa la vista dal palazzo prospicente al ponte, dove oggi scorre allegramente il lungotevere raffaello sanzio, si vedono le case addossate al fiume ai lati di ponte sisto e sulla sponda opposta a regola
In alto, la composizione è chiusa da un frontone con un'iscrizione, sormontata dal grande stemma di casa Borghese. L'acqua fuoriesce dalla sommità dell'arcata e, sotto forma di zampillo, dalle bocche dei draghi. Sulla piazza è situato il monumento commemorativo che le dà il nome, quello del grande poeta romanesco Trilussa, al secolo Carlo Alberto Salustri, nato a Roma nel 1871 ed ivi morto nel 1950. La sua misura caratteristica fu l'apologo breve, la favoletta lineare, una poesia ironica ed al tempo stesso semplice e moderata.
Rosa Tomei, fedele donna al servizio di trilussa posa il giorno dopo l'inaugurazione del busto



La foto sulla statua di trilussa, un classico tributo d'orgoglio alla nascita nel rione caro al poeta
l'amore per il poeta e la scansonata goliardia trasteverina hanno sempre convissuto col busto posizionato in piazza...la cui posizione fu commentata dal guasta con questo sonetto edito nel 1958:

                                                    Pover'amico mio, chi t'ha stroppiato?

Tu che vivo parevi un monumento,
ner monumento pari un disgrazziato,
tu ch'eri tanto bello, fai spavento.
Io me ce sento rabbia, me ce sento,
de nun potè conosce 'st'ammazzato
che prima t'ha scolpito a tradimento,
poi mette in mostra er corpo del reato.

Tutto pè sbieco, mezz'a pecorone,
lui pò ringrazzià Iddio che nun te vedi
arinnicchiato accanto ar Fontanone.

Se te vedessi, Trì, nun ciabbozzavi
e benchè t'abbia fatto senza piedi,
ma sai li carci in culo che je davi!

 La statua in bronzo fu realizzata dallo scultore Lorenzo Ferri e l'inaugurazione avvenne il 21 dicembre 1954. Accanto alla sua immagine è riportata una sua poesia, "All'ombra", scelta, probabilmente, perché più delle altre rispecchia il moralismo, l'arguzia aperta e cordiale, che nasconde un'ombra di disprezzo verso le vicende umane, di questo grande personaggio: "Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all'ombra d'un pajaro, vedo un porco e je dico: - Addio, majale! vedo un ciuccio e je dico: - Addio, somaro! Forse 'ste bestie nun me capiranno, ma provo armeno la soddisfazzione de poté dì le cose come stanno senza paura de finì in priggione". 
quando i cellulari avevano i cavalli e se erano a ponte sisto, vul dire che ti portavano in prigione

sulle rovine dei palazzi addossati al ponte, con le balaustre in ghisa posizionate poco prima dei mujraglioni, il passaggio da e per trastevere non si è mai interrotto..

dobbiamo al conte Primoli, un antesignano appassionato della fotografia, un intero servizio sul passaggio a ponte sisto, con costumi e personaggi di fine 800, metre tutt'attorno i lavori per i muraglioni e le demolizioni procedevano senza sosta.

La traduzione, se serve, è questa: "Mentre mi leggo il solito giornale sdraiato all'ombra di un pagliaio vedo un porco e gli dico: - Addio, maiale vedo un asinello e gli dico: - Addio, somaro! Forse queste bestie non mi capiranno ma provo almeno la soddisfazione di poter dire le cose come stanno senza paura di finire in prigione".
una panoramica della piazza con la fontana appena restituita alla piazza dopo un anno di restauri che l'hanno riportata a vecchio splendore

Oggi la piazza è luogo di incontro ed appuntamenti diurni e soprattutto notturni, per turisti e romani che amano ritrovarsi qui prima di inoltrarsi nei vicoli e piazze del rione, è anche stato luogo di bivacco e vandalismo e ci auguriamo che con presidi fissi, telecamere e quant'altro, si proteggano i nostri tesori e non siano sempre alla mercè di chiunque.

Questo dal ponte, al centro...lo sguardo verso trastevere, annunciato dalla fontana che un tempo era alla fine di via Giulia

Vicolo Moroni ...ieri e oggi

Vicolo Moroni, lavandaia sul'uscio
 Tra le prime leggende metropolitane di una Roma Papalina, vi era quella che ai tempi, i grandi personaggi della curia non camminassero mai come i comuni mortali sulle strade, ma avessero sempre dei cunicoli e dei passetti rialzati, come quello di castello per intenderci , sicché al riguardo ve n'è una proprio legata a Vicolo Moroni.

1956 Bambini a vicolo Moroni


 Si narra che sotto la lungara vi sia un antico tunnel che la percorra per intero dall'arco di sangallo a S.Pietro ed arrivi proprio alle mura aureliane di S.Dorotea. L'uso di tale tunnel era molteplice, uno dei più sconosciuti sembra essere, la via anonima per raggiungere un noto bordello che nei secoli scorsi risiedeva proprio nelle mura accanto vicolo Moroni, ma il confine tra realtà e leggenda  rimane ancorato a tramandazzioni e ritrovamenti del medesimo sotto i giardini chigiani distrutti per i muraglioni.

vicolo moroni anni 70


E.Gentilini, moretta di vicolo MORONI

 Il nome di questo vicolo deriva dalla famiglia Moroni, originaria di Milano ma presente a Roma fin dal Trecento, che qui risiedette nel palazzo situato al civico 3. L'edificio fu acquistato alla fine del Quattrocento dal cardinale Giovanni Moroni che ebbe qui la propria dimora finché nel 1504 si trasferì, in qualità di titolare, nella chiesa di S.Maria in Trastevere , dopodichè il palazzo passò in proprietà alla sua famiglia. Per più di due secoli i Moroni vi abitarono finché il conte Michele, intorno al 1780, vendette l'edificio all'abate Navali; poi l'edificio passò in proprietà a monsignor Angelo Picchioni e successivamente alla famiglia Pozzi. Il palazzo, che sviluppa su tre piani ed uno ammezzato, è caratterizzato da un bel portone centinato con bugnato a cuscino e cartiglio in chiave, da altre tre porte, una delle quali murata, e da finestre rettangolari con davanzale su mensole: da ricordare che un tempo la facciata era caratterizzata dallo stemma della casata Moroni costituito da un albero moro celso in campo bianco.
vicolo moroni anni 70


vicolo moroni anni70

vicolo moroni anni 70



 Tra il 1888 ed il 1895 il palazzo ospitò, all'interno di alcuni locali al pianterreno con ingresso al civico 23, un teatro in legno denominato "Nuovo Politeama Romano" perché in sostituzione del "Teatro Politeama Romano" di "piazza della Renella", demolito, quest'ultimo, nel 1888 in occasione della costruzione dei muraglioni del Tevere.

il vecchio teatro politeama sulle sponde della renella poteva ospitare 5000 persone



vicolo moroni anni 70


vicolo moroni da repertazione biblioteca hertziana anni 70



I proprietari del "Nuovo Politeama Romano", Bartolomeo Filipperi e Giovanni Mancini, gestivano anche una famosa e caratteristica osteria, annessa al teatro, denominata "degli Orti Aureliani" (in onore delle vicine Mura Aureliane), frequentata da giornalisti, letterati ed artisti, che qui fondarono un'associazione denominata "La Lega dell'Ortografia".
rara foto del teatro politeama




 L'osteria, successivamente chiamata "Trattoria del Lungotevere", era strettamente collegata alle fortune del teatro e le vendite del vino direttamente proporzionali al successo degli spettacoli: durante la rappresentazione del dramma "Le Due Orfanelle" o durante l'esibizione canora del cantante romanesco Orazietto delle Fornaci, il vino scorreva a fiumi, quasi incapace di placare la sete e l'eccitazione di quei popolani entusiasti. Successivamente nello stesso luogo si insediò il "Teatro Intrastevere", caratterizzato da tre ambienti distinti e separati: la "sala teatro", la "sala caffé teatro" con un palcoscenico a passarella e la "sala performance" senza palcoscenico: oggi i locali sono adibiti a sala cinematografica denominata Multisala Intrastevere.                                                                                                                                                                         
vicolo moroni visto dal lungotevere della farnesina 1956


Una presenza davvero particolare quanto inaspettata è fornita dai resti del tratto transtiberino delle Mura Aureliane, una presenza davvero rara su questa sponda del Tevere, che costituivano il prolungamento ed il congiungimento della cinta difensiva tra la vicina Porta Settimiana ed il Tevere, dove, poche decine di metri a nord di Ponte Sisto, si chiudeva il triangolo transtiberino.

ecco come finivano le mura aureliane sul tevere, il quadro del franz del 1880 testimonia
la scoperta di sottostanti resti del tempio di sulpicio platorino a monte di ponte sisto

Tomba di Sulpicio Platorini

La Tomba dei Platorini

Rinvenuta nel 1880 nel quartiere di Trastevere, tra Ponte Sisto e via della Lungara, la tomba fu ricostruita nell’aula X delle Terme di Diocleziano nel 1911, in occasione della grande Mostra Archeologica di Roma; in tale occasione si utilizzarono tutti i materiali originari superstiti (i blocchi marmorei usati per il rivestimento, le iscrizioni, le urne e le tre sculture).L’edificio era composto da pareti con nicchie semicircolari e quadrate all’interno delle quali erano collocate le urne con le ceneri dei defunti; l’iscrizione che sovrasta l’ingresso del sepolcro riporta alla famiglia dei Suplicii, forse da identificare con i proprietari del sepolcro stesso.L’edificio era composto da pareti con nicchie semicircolari e quadrate all’interno delle quali erano collocate le urne con le ceneri dei defunti; l’iscrizione che sovrasta l’ingresso del sepolcro riporta alla famiglia dei Suplicii, forse da identificare con i proprietari del sepolcro stesso.

L’edificio era composto da pareti con nicchie semicircolari e quadrate all’interno delle quali erano collocate le urne con le ceneri dei defunti; l’iscrizione che sovrasta l’ingresso del sepolcro riporta alla famiglia dei Suplicii, forse da identificare con i proprietari del sepolcro stesso. Oggi le mura che cingono e sormontano vicolo Moroni sono luoghi preclusi allo sguardo, torrette che si affacciano su i giardini della farnesina e sul gianicolo..autentici privilegio per chi ci vive accanto e che, in alcuni casi, beneficia ancora di accessi al passetto tra le due ultime torri rimaste.


1939 dalla terrazza di s. dorotea


lo spettacolo di vista dalla torretta sopra vicolo moroni

Appare evidente comunque, anche all'occhio profano, che questo vicolo malgrado le demolizioni sia rimasto un piccolo gioiello intatto nel tempo.


vicolo moroni